La risposta è sì.
Se hai un corpo e hai disposizione un tappetino (o anche un solo tappeto o un asciugamano), puoi praticare lo yoga.
Lo yoga, infatti, non ti impedisce di avvicinarti alle posizioni anche se non conosci l’ashtanga.
Lo sapevi però che le asana, ovvero le posizioni di yoga, rappresentano solo una piccola parte del percorso che bisognerebbe intraprendere per raggiungere il Samadhi?
Non sai cos’è il Samadhi?
Partiamo con ordine.
Ti sei mai chiesto cosa vuol dire YOGA?
Il termine YOGA deriva da Yug (in sanscrito) e vuol dire UNIONE.
Unione tra mente e corpo.
Patanjali, tra l’800 e il 300 a.C. ha scritto uno dei testi più importanti dello Yoga classico, che comprende 195 aforismi (sutra): brevi e densi di significato.
Nei suoi aforismi, Patanjali sostiene che bisogna intraprendere un vero percorso per avere esperienze dello stato di Samadhi, la temporanea consapevolezza di Unione.
La parte dedicata alla spiegazione di questo percorso viene chiamata Ashtanga ( da ash otto e anga braccia/rami) oppure ottuplice sentiero.
In breve. questi otto rami o stadi sono:
1- YAMA, regole di condotta morale verso il mondo esterno
2- NIYAMA, osservanze da seguire per rafforzare il rapporto con il proprio io interiore
3- ASANA, posizioni di yoga atte a preparare il corpo allo stato meditativo
4- PRANAYAMA, tecniche di respiro per ottenere una mente più limpida e calma
5- PRATYAHARA, ritiro dei sensi
6- DHARANA, concentrazione
7-DYHANA, meditazione
8- SAMADHI, illuminazione, stato di grazia
Si può pensare che l’ordine non sia casuale e che gli stadi presuppongano un percorso per portare il praticante allo stadio di Samadhi.
Secondo questa concezione, Yama e Niyama sarebbero i primi stadi perché rappresenterebbero la base da cui partire per intraprendere il percorso verso l’illuminazione.
Le Asana seguirebbero immediatamente Yama e Niyama perché attraverso di esse il praticante può prepararsi fisicamente per il pranayama e la meditazione.
Dopo aver acquisito il controllo sul Prana, si proseguirebbe con il ritiro dei sensi (Pratyahara), con la concentrazione (Dharana) ed infine con la meditazione (Dhyana).
L’ultima fase sarebbe costituita dal passaggio dalla meditazione al Samadhi, o fusione nel Divino, stato di estasi divina.
Tuttavia, questa interpretazione non spiegherebbe l’interconnessione tra i “rami”. Ad esempio, le asana possono essere associate a particolari tecniche di respirazione.
YAMA
Yama deriva dal sanscrito yam che vuol dire “controllare” e indica i principi da seguire inerenti il comportamento e la condotta morale dell’individuo.
I cinque Yama sono: AHIMSA, SATYA, ASTEYA, BRAHMACHARYA, APARIGRAHA.
AHIMSA non violenza
Letteralmente significa non-violenza. Rappresenta un modo di comportarsi non violento nei confronti di tutte le creature viventi. Ahimsa non è solo un corretto comportamento etico sociale, ma rappresenta un’eliminazione dell’intenzione e dei pensieri legati alla violenza.
SATYA verità
Satya significa verità. Si tratta di astenersi dal mentire e quindi essere sinceri (senza ferire l’altro, altrimenti non si rispetta la non-violenza).
ASTEYA non rubare
La lettera A rappresenta una negazione e il termine Steya significa rubare, quindi Asteya significa non rubare. Anche il concetto di Asteya non deve essere limitato solo ai beni materiali ma anche a tutto ciò che può esistere di immateriale (come ad esempio i meriti)
BRAHMACHARYA controllo dell’energia sessuale
Letteralmente significa venerare il Supremo. In questo caso però si intende il controllo dell’energia sessuale e degli istinti.
APARIGRAHA vivere una vita semplice
Consiste nel vivere una vita semplice, accontentandosi di ciò che si ha, senza essere attaccati alle cose che si possiede e senza desiderio di possederne altre.
NIYAMA
Se gli Yama sono pratiche di tipo morale e dicono cosa non fare, i Niyama suggeriscono cosa fare, rappresentano le attitudini e i comportamenti da seguire nel proprio percorso yogico.
Semplicemente Yama significa controllo e Niyama significa non-controllo.
I cinque Niyama sono: SAUCHA, SANTOSHA, TAPAS, SWADHYAYA, ISHVARA PRANIDHANA.
SAUCA purezza
Viene tradotto come purezza. È da intendersi non solo come purezza del corpo materiale (quindi da ricercare attraverso una purificazione/pulizia del corpo) ma va riferito a tutti i Kosha (quindi anche al corpo vitale, mentale, intellettuale e causale).
SAMTOSHA appagamento
Samtosha viene tradotto con il termine “appagamento” o “gioia incondizionata”. Significa non voler altro di quello che si ha, accontentarsi, restando consapevoli del momento presente.
TAPAS disciplina/austerità
Letteralmente significa bruciare. E’ la capacità di vivere con disciplina. Si ottiene applicandosi diligentemente nello svolgimento dei propri compiti e perseguendo con determinazione verso i propri obiettivi.
SWADHYAYA studio dei testi sacri/autoanalisi
In sanscrito sva significa “sè stessi” e dhyaya significa “studio”.
Può essere interpretato in due modi:
- Studio dei testi classici dello yoga,
- Studio di sé stessi, meditazione del sé.
ISHVARA PRANIDHANA abbandono al Supremo
E’ spesso tradotto con “devozione totale al Supremo”, o “abbandono totale al Supremo”. Secondo questo ramo, mediante la devozione ci si libererebbe dal condizionamento dell’ego.
ASANA
II termine Asana significa “posizione seduta” o “posizione”.
Indica una postura fisica che contribuisce a migliorare la stabilità fisica e mentale, la flessibilità e la resistenza.
Il sutra 46 dice “Sthira sukham asanam” il che significa che la postura deve essere stabile e comoda. Stiamo quindi praticando “correttamente” un’asana quando riusciamo a stare fermi in modo stabile e piacevole.
Le asana vogliono creare uno stato di equilibrio a livello fisico, emotivo e mentale.
Pranayama
La parola Prana vuol dire energia vitale, fonte di vita. Può essere utilizzata sia per riferirci all’essenza che ci tiene vivi che all’energia che scorre nell’universo. Prana descrive anche il respiro. Il Pranayama letteralmente vuol dire controllo del respiro. Esistono numerose tecniche di Pranayama con differenti benefici.
Pratyahara
Pratya si riferisce al ritiro dei sensi e questo è necessario per prepararsi alla concentrazione e alla meditazione.
Pratyahara permette il passaggio dalla asana alla meditazione, il ponte tra il mondo esterno ed il mondo interiore.
Dharana
Con Dharana si intende la concentrazione su un oggetto (fisico o astratto). Costituisce le basi della meditazione. Per riuscire a meditare serve infatti sviluppare prima la concentrazione. E’ collegata con la precedente Pratyahara. Per potersi concentrare su qualcosa bisogna cancellare le distrazioni sensoriali. Allo stesso modo, per abbandonare le distrazioni sensoriali bisogna concentrarsi con intenzione.
Dhyana
Il settimo braccio riguarda la meditazione: solo quando siamo completamente assorti nella nostra meditazione, stiamo realmente meditando. Questo significa che quando meditiamo esistiamo solo noi, l’atto della meditazione e l’oggetto della nostra meditazione. Quando la concentrazione permane, la nostra coscienza potrà progredire fino a raggiungere il Samadhi.
Esistono diversi livelli di Samadhi. I principali sono due. Il primo è il Savikalpa Samadhi in cui si conserva l’identificazione con la propria individualità ed il secondo è il Nirvikalpa Samadhi, stadio più avanzato, in cui l’individuo viene liberato dalla coscienza dell’ego. Il primo stadio ha una durato di tempo limitata mentre nel secondo si mantiene quest’unione con il Supremo in modo costante.
Questo articolo ha 3 commenti
Pingback: Come una parola svedese, una in sanscrito ed una dottrina ci insegnano ad essere più felici - Yoga First
Pingback: Le false verità su chi insegna yoga svelate da un'insegnante - Yoga First
Pingback: Cos'è il decluttering e come iniziare a fare spazio in 10 punti - Yoga First
I commenti sono chiusi.